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L’imprevedibile è sempre dietro l’angolo.
Ogni genitore con un figlio autistico lo sa bene.
Una delle cose più ansiogene e assurde è sempre stato “il seguito”.
Ovviamente non parlo della gestione dell’autismo.
Quella è difficoltosa e ansiogena a priori. Con il tempo infatti impari a
gestire il tutto, e a trovare una sorta di equilibrio che in qualche modo ti
permette di vivere, o nel peggiore dei casi “sopravvivere”.
“Il seguito” è tutto ciò che scaturisce dopo il primo figlio.
Nel nostro caso Daniel è il primogenito.
Anna e Marco hanno dedicato i primi 5 anni di Daniel a comprendere, equilibrare,
capire.
Entrambi hanno assimilato tante cose, tra le crisi isteriche, i pianti e i
continui passi indietro dopo alcuni successi che facevano ben sperare.
Daniel non poteva restare solo. Mia sorella e mio cognato sentivano il bisogno
di diventare nuovamente genitori, e donare a Daniel un fratellino.
Un fratellino con cui condividere tutto.
Questo “tutto” però pesava come un macigno.
Per quanto ci si possa sforzare, sai benissimo che il futuro
fratellino/sorellina avrà sulla schiena una responsabilità enorme.
Nonostante tutto, la responsabilità di un fratello disabile ricade quasi sempre
in modo verticale sui fratelli.
Che a dirlo così sempre brutto, anche egoista. Ma in realtà fa parte del ciclo
della vita.
Io ho badato a mia sorella, nonostante la mia tenera età. E avrei continuato a
farlo, se mai avesse avuto qualsiasi tipo di problema.
E lo farei ancora. Perché così mi è stato insegnato, e perché così la mia anima
sente di dover fare.
E’ un sentimento innato.
Qualcuno ha anche detto “Un fratellino solo per tenerlo al sicuro quando non ci
sarete più”.
E boom, un colpo allo stomaco tremendo.
Quando non ci sarò più. Una frase che stimola tutta una serie di ansie, di domande
tremende, di voragini infinite senza speranza di toccare mai il fondo.
I genitori di un bambino autistico hanno già un carico emotivo così pesante da
essere costantemente sull’orlo di cedere.
Accennare anche solo a simili argomenti, li logora e li distrugge ancora di
più.
A te, che stai leggendo, ricordati di evitare simili argomenti.
Noi parenti, genitori e nonni lo sappiamo benissimo.
Conosciamo l’incognita del “Dopo di noi”.
Ripeterlo però è come pugnalarci. Contribuisci solo ad imbrunire l’anima.
Un consiglio… EVITA.
Comunque no, non si sceglie di mettere al mondo un secondo figlio perché badi
al primo.
Come in una qualsiasi famiglia, si sceglie di donare la vita ad un bambino perché
lo si vuole.
Si spera, semmai, che questo possa amare così tanto suo fratello/sorella , da
poterlo aiutare ogni qualvolta ne abbia bisogno.
Ma questo è ciò che spera chiunque, giusto?
La stessa cosa vale anche per le persone neurotipiche.
Lo sapevi che per indicare una persona non autistica si utilizza il termine Neurotipico?
Non “Normale” , ne altri termini.
E’ importante , per noi come per chiunque ascolti, utilizzare i termini giusti.
Non che sia un tabù la parola disabile.
Lo sappiamo, ne siamo ben consci. Ma è importante dosare le parole, utilizzare
quelle giuste.
Si spera sempre che un fratellino/sorellina possano
essere il sostegno l’uno dell’altro in caso di bisogno.
Era il suo tarlo principale. Secondo lei sarebbe stato come caricare sulla schiena del nascituro un “fardello” troppo grande.
Con il tempo gli feci capire che avere un fratello/sorella è comunque un impegno costante, indipendentemente dal suo status.
Forse in tempi passati, con le famiglie numerose, l’idea di fratello e sorella era molto spesso “annacquata” dalla differenza d’età e dal numero consistente di persone.
Con conflitti dati da tutta una serie di cose e problemi, spesso futili, amplificate dal tempo e dalla distanza.
Tra la fine di Ottobre e gli inizi di Novembre 2017 mia sorella annunciò a me e ai miei di essere incinta.
La brutta notizia era però che da lì a poco sarei partito per Torino.
Ciò che mi spaventava, all’epoca, era soprattutto la mia assenza fisica.
A 1200 km di distanza non avrebbe avuto il medesimo supporto che invece le avevo dato durante e dopo la gravidanza di Daniel.
Ma non era il solo “problema”.
C’era la statistica, il caso, le paure e quel cazzo di destino imprevedibile.