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Se ci fosse un modo, per descrivere gli sguardi di un padre, probabilmente lo avrei già fatto.
Ma non ho mai trovato le parole giuste.Fissai Marco , quando tornammo a casa. Anna gli disse tutto in lacrime.
I suoi occhi sembravano persi in un mare in tempesta. La stessa tempesta che imperversava fuori.
Ogni tanto cercava il mio sguardo, come a sentirsi dire “No, sta esagerando”.
Si sedette, lentamente.
E mentre Anna gli spiegava ogni cosa, lui fissava Daniel intento a giocare.
Probabilmente stava pensando le mie stesse cose.
Lui, un anno più grande di mia sorella. Ritrovatosi padre e marito in “tenera” età.
Travolto da un destino beffardo, e da qualcosa che difficilmente si assimila.
Dopo aver finito di raccontare tutto, Anna si mise a preparare la cena.
Lo vidi alzarsi di scatto e andare via, sbattendo la porta di casa.
Fermai mia sorella, che era già pronta a corrergli dietro.
“No, ognuno reagisce a modo suo. Lascia stare, Anna.”
Marco è sempre stato un ragazzo molto calmo, educato.
Quando lo conobbi era appena 17 enne. Un ragazzo biondo, occhi chiari e già abbastanza alto.
Entrò per la prima volta , nella mia cameretta, insieme a mia sorella.
Imbarazzato, impacciato e rosso come un peperone.
Gli sorrisi, stringendogli la mano come si fa con una persona che già a pelle ti è simpatica.
Quasi subito tornai a giocare sulla mia fida Playstation 2 , mentre lui e mia sorella andarono a fare un giro in casa.
Ci pensai tanto quella sera.
E quando andò via, aprì la porta della camera di mia sorella esclamando “Finalmente te n’hai truatu unu bellu, LMT”* (*Finalmente ne hai trovato uno carino).
Lei sorrise, dicendo semplicemente “Speriamo Gabri”.
Uscì dalla stanza socchiudendo la porta , e tornai in camera mia.
In cuor mio speravo che quella “bambina” di 16 anni potesse trovare qualcuno da poter amare in modo immenso e stupefacente.
E’ ciò che alla fine si aspettano tutti, per coloro che amano.
Nel 2012 si sposarono, pochi mesi prima della nascita di Daniel.
Un matrimonio civile semplice e pieno di sorrisi.
Lei aveva un vestito che la faceva sembrare una venere paleolitica, lui elegante e impacciato.
Entrambi erano un chiaro esempio d’amore, un qualcosa che ancora oggi difficilmente potrei trovare altrove.
Marco si destabilizzò , dopo quella notizia.
Dovette resettare se stesso, ricominciando a idealizzare Daniel diversamente.
Alla fine , tutti noi ci ritroviamo a idealizzare qualcosa o qualcuno, magari sulla base delle nostre passioni.
Sbagliando si idealizzano anche i figli, imponendo molto spesso cose che sono state nostre ambizioni mai effettivamente espresse, per un motivo o per l’altro.
Ho dovuto spiegare, passo dopo passo, anche a lui come muoversi in quel contesto.
La diagnosi di Daniel trasformò Marco.
Cambiò la visione della realtà, della vita.
Come fu per mia sorella, anche per lui la cruda realtà bruciò ulteriormente alcune tappe.
Negli anni, entrambi hanno affrontato tempeste e mareggiate terribili.
L’età, le situazioni e il complesso status di Daniel, hanno più volte creato fratture.
Fratture sanate dal tempo, e dalla maturazione di entrambi.
Non ho mai giudicato il loro malessere. Ho sempre evitato di immettermi nel pieno delle loro discussioni, perché non c’era una posizione assolutamente giusta o sbagliata.
Erano pur sempre dei ragazzi, messi di fronte a qualcosa che avrebbe scosso e tormentato la coppia più “navigata”.
Daniel ha sempre visto in marco una figura genitoriale autorevole.
La sua prima parola, comprensibile e di senso compiuto, fu proprio Papà.
Quel “Papà” detto a Marco aveva un valore immenso.
Detta da un bambino che non parla, sembrò come un raggio di sole in mezzo ad un temporale.
Negli anni, proprio grazie alla tenacia di Marco arrivarono ulteriori risultati importanti.
Non per ultimo quello che più ci ha fatti piangere.
Mia sorella si accorse che Daniel aveva il controllo degli sfinteri.
Senza pannolino, riusciva a trattenere i suoi bisogni fisiologici.
Gli sembrò un buon punto di partenza, anche se l’età era clinicamente “avanzata”.
Aveva 6 anni, e le terapiste dicevano fosse ormai troppo tardi.
“Daniel non toglierà mai il pannolino”
Questo non era un problema estetico, per noi.
Non avevamo paura che qualcuno potesse dire qualcosa, sulla presenza del pannolino.
Negli anni però Daniel ci aveva stupiti in tante cose.
La parola, anche se utilizzata in un modo personalizzato ed estremamente sintetico.
Operazioni semplici su comando, come “prendi le scarpe” “mettiamo i pantaloni” “prendi il bicchiere”.
Il fatto che Daniel non potesse togliere il pannolino, anche solo durante le sessioni a scuola o al centro in cui tutt’ora si reca, ci sembrava assurdo.
Marco, nel pieno dell’estate 2019, tolse il pannolino a Daniel.
Questo inizialmente non rappresentava mai un problema, perché a lui piaceva essere più libero.
Tutto tranquillo tranne quando arrivava lo stimolo.
In quel caso si disperava, piangeva tantissimo.
L’idea di sporcarsi è sempre stato qualcosa da evitare, per lui.
Mio cognato , nel pieno di questa “Crisi” da pannolino, lo prese e lo portò al bagno.
Lo sedette comodo e si mise di fronte a lui.
Daniel fece per alzarsi, ma lui lo “forzò” delicatamente a restare seduto.
Mio cognato si prese di tutto, quella mattina.
Daniel tirò a suo padre una marea di schiaffi, lo graffiò in pieno volto e sulle braccia.
Marco in quel momento era un soldato che delicatamente stava solo facendo il bene di suo figlio.
Nonostante le urla, i pianti, gli schiaffi e i graffi.
Dopo circa un’ora e mezza, Daniel fece pipì, ormai stremato.
Si azzittì di colpo, e guardò Marco come a dire “Cosa sto facendo?”.
Da quella famosa (quanto sofferta) pipì, Daniel imparò ad utilizzare correttamente i servizi igienici, e ad evitare il pannolino per quanto possibile.
Ovvio, ha bisogno di assistenza quando si reca in bagno.
Nonostante tutto però, Daniel è quasi sempre senza pannolino.
Ci sono ancora quelle situazioni che lo richiedono, ma Daniel il pannolino è riuscito a limitarlo.
E questo nonostante le visioni pessimistiche.
Marco mi confessò di voler provare a toglierlo del tutto, ma con i tempi giusti.
Quando me lo dissero, piansi.
Come per qualsiasi progresso, anche questo era una vittoria immensa.
Marco è un uomo complesso, all’apparenza chiuso e poco incline a dare confidenza.
La vita ha “calcificato” la sua corazza, ora in grado di attutire i colpi più potenti.
Per suo figlio si è sempre fatto in quattro, e come qualsiasi padre ha lottato affinché non subisse alcun tipo di discriminazione.
Si, perché anche se potrebbe non sembrare così, anche noi abbiamo vissuto discriminazioni velate su Daniel.
Discriminazioni all’apparenza stupide, ma terribilmente dilanianti.
In tanti ambiti e situazioni è mancata quell’inclusione che tanti vanno decantando.
Perché alla fine c’è sempre qualcuno che , di fronte a legittime richieste, ti risponde dandoti della ”vittima”.
Marco ha rinforzato la corazza, per poter attutire i colpi e rispondere sempre punto su punto.
Marco è quel porto sicuro in cui attraccare. Il porto in cui essere cullati dolcemente, mentre fuori imperversa la tempesta.
Marco e Daniel si somigliano tantissimo. E nonostante tutte le difficoltà, come solo un buon padre sa fare, Marco continua ad irradiare il mondo di Daniel in modo unico.
E sono sicuro, che se solo potesse parlare un po' di più, gli direbbe molto semplicemente
“Sono orgoglioso di te, papà”.