venerdì 30 aprile 2021

Silenzio Autistico ( Terza Parte )

 


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"Ciao piccolino, come ti chiami"

 

Daniel era intento a guardare un peluche che si era appena scelto.

Uno dei miei tanti regali.

 

"Non parla ancora?"

 

In quel momento avrei voluto rispondere male.

Sentivo la rabbia montare come se quella sconosciuta avesse detto chissà quali parolacce.

Abbozzai un sorriso, rispondendo con un laconico "Non ancora".

Tirai un sospiro profondo, mentre gli occhi erano già pronti ad accompagnare quel nodo alla gola costante.

 Erano passati circa 3 giorni dalla diagnosi, e ora sapevo dare un nome a quel "non parla ancora".

A lavoro svolgevo i miei compiti correttamente, ma nei miei occhi chiunque poteva vedere l'oscurità.

Un'oscurità generata dalle incognite della vita, dalle paure relative alla non accettazione, all'impossibilità di poter vedere uno sviluppo ordinario di quel bambino biondo con gli occhi azzurri.
Ho sempre considerato Daniel un figlio, prima che un nipote.
Non mi sono mai voluto sostituire al suo papà, ci mancherebbe altro.
Ho sempre cercato di essere una colonna portante, nella sua vita. Senza invadere mai quelli che sono gli obblighi di uno zio, ben diversi da quelli di un padre.
Però non so descrivere ciò che mi lega al mio bambino.
Se solo riguardo gli status su Facebook, mentre lo attendevo, mi viene da piangere. Un legame così forte che ci è sempre bastato uno sguardo, per capirci.

Lo feci sedere avanti, in auto, senza seggiolino.
Si, non è sicuro per un bambino, ma non c'era verso di farlo stare dietro, se con con urla e pianti strazianti.
Ecco, anche quel suo non stare calmo con le cinture del seggiolino di sicurezza, ora avevano un perché.

Se da un lato l'Autismo appariva come una nebbia fitta da cui uscire sembrava impossibile, dall'altra il solo conoscerne il nome appariva come un raggio di luce con cui farsi strada.
Debole, ma presente.
Se c'è una cosa che ho capito, nel tempo, è che se ad una cosa riesci a dare un nome puoi effettivamente cominciare ad affrontarla.


Lo riportai da mia madre, preparandomi poi per il solito turno a lavoro.

 

Erano le 22 circa, quando timbrai la mia uscita da lavoro.
Mentre tornavo a casa, ripensavo a tutto.
Come se la mia mente si divertisse a fare un riepilogo della mia vita sino a quel momento, facendomi soffermare su tanti dettagli inutili.
Una sorta di auto protezione, per evitare lo stress derivato dalla diagnosi.
Eppure, gira e rigira ero sempre lì.
Sistemai i miei cani, e dopo cena mi diressi al pc.Volevo capire un po’ di più sull'Autismo.
Volevo cominciare ad affrontarlo, e non solo a temerlo.
In appena tre giorni ero stanco delle lacrime, dei pensieri brutti. Volevo reagire, capire.
Cominciai a guardare video su YouTube di neuropsichiatria infantile, a leggere sul web articoli di autorevoli firme.
Mi tenni ben lontano dalle teorie bislacche dei complottisti e dei negazionisti. Avevo bisogno di verità e soluzioni, non di complotti e favolette.
Nelle settimane successive ero già pieno di informazioni, anche se molto basilari, sull'argomento.
Probabilmente lo avrete già capito, ma le  persone che più accusarono il colpo furono mia madre e mia sorella. Non che io volessi fare a tutti i costi il forte, ma capì subito che se crollavo io, crollavano loro due.
Erano pienamente convinte che la "colpa" risiedeva in altro, e non ad un possibile "problema" naturale nel  neuro-sviluppo.

 "L'autismo è un disturbo del neuro-sviluppo che riguarda principalmente linguaggio e comunicazione, interazione sociale, interessi ristretti, stereotipati e comportamenti ripetitivi."

 "Ah sì? E come mai bambini autistici non se ne vedevano prima?"

 "Perchè c'era ignoranza in tal senso. In passato i bambini con tale problema venivano etichettati come pazzi o ritardati, e chiusi in quelle strutture maledette che erano i manicomi. Praticamente dei reietti. Non c'era la diagnosi precoce, le terapie. Non conoscendo pienamente il problema, lo accodavano ad altre cose."

 "Ma non c'è una cura?"

Questa era , ed è , la domanda a cui rispondere   mi provoca ogni volta un tuffo tremendo al cuore.

 "No, perché non c'è una malattia, Mamma. Daniel non è malato. Daniel ha "semplicemente" un deficit che al momento non sappiamo nemmeno stimare, vista l'età."

 "Dobbiamo aspettare che diventi grande?"

 "Dobbiamo aspettare che maturi, per renderci conto dei limiti e possibilmente eliminarli o limarli."

 

Tutto questo appariva come assurdo, a mia madre e mia sorella. Loro continuavano a pensare "di pancia", mentre io ero già oltre.
Ai loro occhi io ero "insofferente" e privo di sentimenti.
Il mio essere dettagliato, calmo e privo di reazioni scomposte di fronte a loro, significava essere cinico.

"Non hai un cuore, perché altrimenti capiresti che non è come dici tu".

Senza volerlo mia madre aveva appena detto ciò che volevo passasse apparentemente a loro.
Avevo messo il mio cuore in gabbia, dopo aver pianto di nascosto.
Dopo aver versato lacrime amare immaginando  una prospettiva di futuro distrutta da quella cazzo di diagnosi.
Il mio cuore era in gabbia non per paura, ma per non farci crollare all'unisono nello sconforto e nelle tenebre.
Volevo essere la luce capace di dipanare, per quanto possibile, quella nebbia.
Non volendo, offrì a mia madre e mia sorella un muro morbido su cui picchiare per sfogarsi.

Una mattina di un giorno che non ricordo , arrivò una telefonata.

"Gabriele..." la voce di mia sorella era quasi rotta dal pianto.

 "Dimmi" cercai di stringere il cuore.

 "Daniel comincerà ad amici di Nico la prossima settimana. Faranno prima una valutazione, e poi ci diranno quanto partirà il suo percorso"

 

Silenzio

 

"E quindi? Non sei contenta?"

"Che mio figlio sia Autistico?"

"No, che Daniel possa finalmente uscire da quella nebbia, e farci sentire la sua voce guardandoci negli occhi"

In quel momento capì che il cuore di una mamma, per quanto forte, non sarebbe mai stato pienamente pronto ad affrontare tutto da solo.
Io però ero lì, insieme a lei.
Ero lì con lei quell’otto Maggio del 1993.
Ero lì con lei ad affrontare la battaglia più tosta della nostra vita.

FINE TERZA PARTE 



"Le mani sul cuscino, i tuoi occhi su di me
Li ho cercati da lontano quando ho capito che di me
Hai visto l'invisibile...."

                                                 Laura Pausini 


mercoledì 28 aprile 2021

Silenzio autistico (Seconda Parte)

 


 ( Se non hai letto la prima parte clicca QUI )

Non ricordo esattamente il giorno della settimana.


Ricordo solo che pioveva, tanto.
Quel giorno presi ferie a lavoro, perchè il cuore era pessimista.
Sapevo sarebbe stato qualcosa di brutto, e sentivo di non poter affrontare un turno lavorativo dopo qualsiasi notizia.
Chiunque viva l'attesa per una diagnosi simile  non è mai positivo.
Perchè ciò che ti porta ad indagare sono segnali ben riconoscibili.
E' inutile farsi domande e immaginare possibili soluzioni benevole, in quei momenti.
E comunque i  problemi erano di fronte a noi, sbattuti in faccia a un ragazzo di 28 anni e ad una "bambina" di 21.
Passai a prendere mia madre, mia sorella e Daniel.
Imboccai la statale per Lecce, la SS101 .
Avevo il cuore in gola, e la lacrima facile. Per la prima volta , da quando avevo l'auto,sostituì il cd di "Resta in ascolto" ( il mio preferito della discografia di Laura Pausini) con uno generico di musica dance anni 90.
Tenni il volume basso, per evitare di infastidire mia madre, già alterata perchè rifiutava a priori l'idea che Daniel potesse avere qualcosa di "non ordinario".
Arrivammo al centro "Cittadella della salute" di Lecce con 20 minuti di anticipo.
Entrammo nel padiglione di riferimento, e ci mettemmo comodi ad attendere.
Comodi per modo di dire, visto che quasi subito dovetti correre dietro a Daniel.
Arrivò  finalmente il nostro turno, ed entrammo tutti e quattro insieme.
Mia sorella spiegò ciò che avevamo notato in Daniel, descrivendo ogni singola cosa che a suo avviso non andava.
Dopo aver descritto il quadro della situazione , il Dottor Massagli prese in braccio Daniel e lo portò su un tipico tappeto per bambini.
Questo tappeto era pieno di giochi, così tanti che Daniel ebbe subito da fare.
Il dottore prese in mano una piccola palla.
Lo chiamò, ma niente.
Daniel era impegnato a giocare.
Gli prese delicatamente il braccio, per chiamarlo e attirare la sua attenzione.
Niente, Daniel era impegnato a giocare.
Il medico si spostò di fronte a lui, chiamandolo e fissandolo. Ma Daniel non ebbe alcuna reazione.
Alla fine provò quella che lui citò come  una sorta di "prova del nove".
Fece scorrere la palla verso Daniel, sperando la raccogliesse.
Niente.
La palla toccò i piedini di Daniel, ma lui era intento a giocare.
Gli scostò lo sguardo delicatamente, come a costringerlo ad  un contatto oculare.
Daniel scostò subito la mano del medico, senza nemmeno fissarlo  come a dire "Hei, cosa fai".
Il dottor Massagli mi guardò pessimista, mentre tornava alla scrivania.
Mia sorella  aveva uno sguardo simile a chi sa già di doversi schiantare al suolo senza paracadute.
Mia madre già in lacrime.
Lacrime silenziose, diverse da quelle a cui ero abituato a vederla in simili casi.

"Signora" disse guardando mia sorella "Daniel ha tutto ciò che si può definire come disturbo dello spettro autistico.
Al momento è abbastanza difficile inquadrare il livello, se così possiamo dire.
Abbiamo bisogno di più tempo.
Ma non per questo bisogna perdere tempo.
Daniel deve necessariamente cominciare a fare terapia.
E' un bambino piccolo, e la diagnosi precoce consente di poter fare prima e meglio
."

AUTISMO

Cosa cazzo significa essere autistici?
Perchè si diventa autistici?
Cosa è successo?
Cosa non ho fatto?
Perchè proprio a noi?
Perchè il mio bambino deve fare terapia? E' malato?


Guardai mia sorella negli occhi, prima ancora che simili domande potessero uscire dalla sua bocca.
Il mio stomaco fu lacerato, dilaniato e mangiato da un mostro invisibile.
Non riuscì a realizzare niente, in quel momento.
Mia madre in lacrime, mia sorella idem.
E io? Io  mi tenevo aggrappato ad una grata invisibile, come un passegero del Titanic durante l'affondamento.
Fissai Daniel, e il nodo in gola si fece forte, IMMENSO.
Un bambino così bello, biondo con occhi azzurri, in salute , perchè?
Alzai gli occhi al cielo , facendo rimbombare dentro me stesso una sola ed unica domanda:

"PERCHE' PROPRIO A NOI?
PERCHE' PROPRIO A LUI?"


" Chi resta qui , spera l'impossibile..."
                                 INVECE NO - LAURA PAUSINI

 

FINE SECONDA PARTE



 



L'intercapedine del mio destino

L'anima è l'essenza modellabile che governa il cuore. E' così che vedo il mio essere. Forgiato dall'esperienza, dagli errori...